Ho
deciso di copiare qui un articolo scritto da me che verrà pubblicato tra
qualche giorno su www.ansiasociale.it e www.benessere4you.it, dove abitualmente pubblico
articoli che trattano argomenti di psicologia (se volete, andate a dare un’occhiata).
L’argomento
è delicato, quindi non pretendo di esaurirlo in poche righe, ma ho raccolto
alcuni dati e riflessioni.
Secondo i dati dell’Istat, alla
fine del 2013 la disoccupazione in Italia raggiunge un nuovo record, con i
dati peggiori dal 1977 a oggi. Il numero di disoccupati arriva a toccare quota 3 milioni 194mila, in aumento dello 0,9% su agosto e del
14% su base annua. Se il tasso generale sale al 12,5%, a soffrire di più sono
ancora una volta i giovani che arrivano al 40,4%.
Di pochi giorni fa le ultime
notizie su imprenditori strozzati dalle banche che si sono suicidati. Secondo una
ricerca dell'Eures (istituto di ricerche
economiche e sociali) del 2012 la crisi economica ha aumentato la propensione
al suicidio. Nel 2009 i suicidi sono aumentati in generale, e in particolare
tra i disoccupati, raggiungendo la preoccupante proporzione, tra questi ultimi,
di quasi uno al giorno. Colpiti entrambi i sessi, ma in particolare gli uomini.
Durante
la grande crisi che colpì le economie asiatiche nel 1997 i suicidi aumentarono
del 40%, rispetto all’anno precedente.
Il Prof. Piero Barbanti, primario
del Centro delle Cefalee e del dolore dell’IRCCS San Raffaele Pisana, spiega
che con la crisi economica sono aumentati i disturbi depressivi, tutti i
disturbi della sfera ansiosa, l’uso di alcoolici e di droghe, gli omicidi e le
morti violente, le violenze domestiche e i divorzi, gli accessi al pronto
soccorso ed alle strutture psichiatriche.
Naypong
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Questa
la drammatica situazione
È inevitabile? Perché accade?
La mente è bravissima a dare
giudizi. Sugli altri, ma soprattutto su noi stessi. Capita a molte persone
disoccupate, di identificarsi, fondersi, con pensieri di fallimento (“non
troverò un altro lavoro, tanto c’è la crisi”), di incapacità (“sono un fallito,
non sono capace di fare nulla”), di impotenza (“non dipende da me, non c’è
nulla che posso fare”).
E poiché questi pensieri fanno star
male, facciamo di tutto per evitarli. Se pensare al lavoro fa emergere anche
questi contenuti, allora farò in modo di tener lontano anche quel pensiero:
evitando tutto ciò che può ricordarmelo (cercare un lavoro) e distraendomi
(bevendo, guardando la tv, uscendo con gli amici). In parole semplici, tutto
ciò che mi ricorda il fatto di essere disoccupato mi fa star male, quindi cerco
di evitarlo, non mettendo in atto quelle azioni che potrebbero portarmi verso
una soluzione.
Il problema sembra essere
soprattutto maschile, perché va a toccare un tasto molto delicato dell’identità
dell’uomo: se non lavoro, che uomo sono? Qual è il mio ruolo in famiglia o
nella società? Una donna può essere moglie, madre, disoccupata, “mantenuta”
addirittura, quasi senza vergognarsene, ma un uomo? Ho conosciuto uomini in
cassa integrazione che si vergognavano di farsi vedere in giro durante il
giorno perché temevano il giudizio di chi, vedendoli, avrebbe pensato “ma non
va a lavorare questo qui?”.
La psicologia può essere di aiuto
in questa situazione per mobilitare le risorse dell’individuo. È necessario che
la persona in difficoltà impari un nuovo modo di gestire pensieri fastidiosi e
sentimenti dolorosi. Purtroppo non è possibile farli scomparire dalla propria
mente, ma un conto è immergervisi completamente, un altro è notarli quando si
presentano, capire se sono utili o meno alla propria situazione, e lasciare che
siano presenti senza che influenzino le proprie decisioni.
Alcune persone riescono grazie a
questa “strategia” a vedere dove sono le opportunità migliori per sé, a capire
cosa è necessario fare per trovare un nuovo lavoro e, magari, a trovare il
coraggio di cambiare e sperimentare strade nuove.
Tutto questo è difficilissimo, ma
possibile.
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