La fobia sociale è un problema più
frequente di quanto si pensi. Negli anni mi è capitato di incontrare diverse
persone che ne soffrivano: bambini e adulti, ma soprattutto adolescenti e
ragazzi tra i venti e i trent’anni. In realtà spesso il disturbo insorge
durante l’infanzia, ma le persone si decidono a chiedere un aiuto solo dopo
anni di sofferenze.
Ma cos’è la fobia sociale? Per una
descrizione esaustiva del disturbo, rimando ad un articolo che ho scritto tempo
fa (http://www.ansiasociale.it/articoli-psicologia/la-fobia-sociale-quando-lestraneo-fa-paura). In sintesi, è una forma estrema di timidezza, che rende difficile
rapportarsi a quasi tutte le persone: di solito, meno sono familiari le
persone, più la difficoltà aumenta. Questa timidezza provoca un’ansia così
grande da compromettere tutte le aree più importanti della vita di un
individuo: amicizie, relazioni sentimentali, studio, lavoro, passioni,
autorealizzazione.
Il pensiero costante è: “cosa penseranno gli altri di me se
faccio-non faccio/dico-non dico questa cosa?” E questo pensiero condiziona
tutte le scelte della persona, da quelle più banali (come entrare o meno in un
bar per prendere un caffè), a quelle più importanti (sostenere esami
universitari, colloqui di lavoro). Questo pensiero sarà presente se vorrà
chiamare un amico, chiedere ad una ragazza di uscire o partecipare ad una
conversazione in un gruppo.
Insieme a questo pensiero, c’è la
costante autocritica: “non sono
simpatico, brillante, intelligente, bello come gli altri”, “sono uno sfigato”,
“non mi vuole nessuno”.
Vincent van Gogh - Piante di iris (1889) |
Per non sentire l’ansia e
l’imbarazzo che questi pensieri comportano, la persona che soffre di fobia
tenderà, quando può, ad evitare tutte quelle situazioni che lo
espongono al contatto con gli altri. Per questo, la fobia sociale, più di
altri disturbi, condanna alla solitudine.
La sofferenza è così grande che
alcuni prendono in considerazione l’idea del suicidio (è il caso di Beatrice, ma ne parlerò più avanti).
Vorrei cominciare questa serie di
post con una nota positiva: non siete
condannati a vivere tutta la vita come state vivendo ora. Si guarisce? Se
per guarigione si intende il miracoloso cambiamento da una personalità timida
ad una eccezionalmente estroversa, no. Se si intende la scomparsa di tutti i
pensieri negativi che vi hanno accompagnati per tutta la vita e che vi hanno
impedito di vivere la vita che avreste voluto, no. Se immaginate la magica
scomparsa di emozioni negative quali ansia, paura, imbarazzo e dolore, no.
Ma allora?! Se vi dicessi che
pensieri ed emozioni spiacevoli non scompariranno, ma imparerete un modo nuovo
di trattarli e che questi non influenzeranno più tutte le decisioni della
vostra vita? Se vi dicessi che potrete sentirvi liberi di andare dove volete e fare ciò che desiderate, studiare,
lavorare, fare nuove amicizie, incontrare nuove persone? Vi considerereste “guariti”? Se poteste inseguire i vostri sogni e diventare la
persona che vorreste diventare?
Solitudine? |
E tutto questo grazie alla mindfulness (per qualche informazione in più sulla mindfulness). Ma cosa fa la mindfulness?
Russ Harris per spiegarlo propone la metafora del film horror (Russ Harris, “Fare ACT”, Franco Angeli):
“adesso quando questi ricordi
compaiono, è come guardare un film dell’orrore terrificante a notte fonda,
tutto da solo, in una vecchia casa, con tutte le luci spente. Supponi invece di
stare a guardare lo stesso identico film, la TV è nell’angolo della stanza, ma
è pieno giorno, la luce del sole passa attraverso le finestre, la tua casa è
piena di amici e familiari, e state interagendo gli uni con gli altri: ridendo,
parlando, mangiando e divertendovi. Il film non è cambiato di una virgola – è
ancora alla TV nell’angolo della stanza – ma adesso sta avendo molto meno
effetto su di te.”
Incredibile, vero? Eppure, si può fare.
Tra qualche giorno vi parlerò di
Paola e di come la mindfulness sta cambiando la sua vita.
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